di Anita Eusebi
“In Italia l’autismo è ancora circondato dalle nebbie della superstizione […] ognuno fa come meglio crede, come immagina sia meglio per il proprio figlio, vagando a caso nel suo impraticabile labirinto di solitudine”. Parole amare, tratte dal libro Alla fine qualcosa ci inventeremo del noto giornalista Gianluca Nicoletti, ospite di Màt 2015, che con rabbia, amore e disincanto racconta la storia di suo figlio Tommy, autistico, e si racconta come padre, facendosi portavoce coraggioso e sincero di riflessioni critiche, lontane da facili illusioni e immerse in un continuo rimboccarsi le maniche e inventarsi genitore, giorno dopo giorno, lungo il percorso a ostacoli del vivere quotidiano, tra difficoltà concrete e pregiudizi.
Il libro Alla fine qualcosa ci inventeremo, di cui si parlerà a Màt 2015 il 17 ottobre alle ore 21.00 in un evento a cura dell’Associazione Aut Aut Modena, ha avuto grande successo di critica e di pubblico ed è stato ripubblicato proprio in questi giorni nella collana “Oscar Bestsellers”, così come fu per il primo libro Una notte ho sognato che parlavi di cui è il naturale seguito. «Il messaggio principale del libro è per le famiglie, affinché si riesca a trovare un punto di unione – spiega Nicoletti – perché purtroppo la prima difficoltà è proprio la disunità tra le famiglie, molte si fanno anche la guerra per contendersi per esempio il sostegno a scuola o l’operatore migliore. E il perché lo capisco anche: si è completamente soli, la situazione è disperata. E soprattutto ogni autistico ha la sua storia, ogni autistico ha bisogno di attenzioni molto personalizzate. Il vero problema è poi la gestione del tempo e delle giornate quando i ragazzi non andranno più a scuola. Ormai tutti quelli che io conosco e frequento si avviano a essere maggiorenni, e qua comincia il dramma: pur con tutti i suoi limiti la scuola permette però di organizzare la giornata, la mattina vanno a scuola, Tommy sa che si alza la mattina e che ha uno scopo, deve andare a scuola. Ma il giorno che non andranno più a scuola? È un incubo, e tutto il lavoro fatto con fatica fin qui rischia inevitabilmente di andare perso».
Cosa accadrà cioè quando i ragazzi ormai grandi non andranno più a scuola? Cosa farà la famiglia? «Eh, “…qualcosa ci inventeremo”», risponde Nicoletti giocando con il titolo del libro. «Alcune famiglie li tengono a casa, finché ce la fanno. In molte città ci sono dei centri diurni, che sono dei ghetti, in cui i ragazzi autistici vengono messi insieme ad anziani e a malati psichiatrici di tutti i tipi. Una specie di ospizio per giovani. E dalla mattina alla sera fanno dei lavoretti o robe di questo genere… O peggio, altri autistici adulti scompaiono, a un certo punto non se ne sa più niente, chissà che fine fanno, forse in qualche istituto, perché i genitori diventano anziani e non ce la fanno più a prendersene cura o muoiono. Allora li prendono e li mettono da qualche parte, parliamo di strutture para-manicomiali, non ci pigliamo in giro. Posti che funzionano da raccolta di materiale umano, da smaltimento. Li riempiono di farmaci e li tengono buoni in una stanza, è così che finisce. Nessuno ci dà garanzie di un’assistenza adeguata ai nostri figli quando non ci saremo più noi genitori. Non dimentichiamoci che i nostri figli sono persone interdette, non hanno alcuna possibilità di rivendicare i propri diritti, sono totalmente inermi, in mano a chiunque. Occorre organizzare qualcosa di stabile, di forte, un sistema in cui man mano che muoiono dei genitori ne subentrano altri a occuparsi di questi ragazzi. Questo dovrebbe accadere, questo solo può permettere una certa continuità. Così quando io non ci sarò più sarà il genitore di un altro ragazzo autistico a prendersi cura di Tommy, e ancora quando non ci sarà più lui un altro genitore membro del sistema si occuperà a sua volta anche di suo figlio, e così via. Purtroppo però è molto difficile fare i conti con la natura umana, non è mai totalmente affidabile fino in fondo».
A quanto pare la risposta delle istituzioni a proposito di servizi per l’autismo e di cultura sul tema continua a essere incerta e insoddisfacente. Come mai? «Le istituzioni non si pongono il problema, è tutto davvero molto complicato, è un mondo pieno di ambiguità, di falsi medici, di ciarlatani, di truffe sul dolore delle famiglie. I responsabili delle istituzioni, delle cure, delle leggi, peccano ancora di molta superficialità e pochi strumenti. Manca un approccio scientifico serio all’autismo, ci sono psichiatri che non sanno cosa sia l’autismo, ci sono funzionari che non sanno cosa sia l’autismo. Dobbiamo sempre spiegarlo a tutti. Quando saliamo sugli autobus o sui treni dobbiamo ancora spiegare alla gente che nostro figlio non è un ragazzo che fa casino perché maleducato, ma è un disabile molto grave. E questa è la cosa più complicata», puntualizza Nicoletti. «Un esempio: partirà a breve il primo vero studio di prevalenza, che consiste nel cercare di farsi un’idea di quanti siano gli autistici in Italia, di come siano distribuiti, di quali siano i problemi principali sul territorio nazionale. È questa la prima necessità rispetto a qualsiasi tipo di intervento. In Italia non ci sono dati scientifici al riguardo, non si è mai lavorato in questo senso, perché ogni famiglia ha così tante problematiche da affrontare nel proprio quotidiano da non riuscire a vedere la situazione in un’ottica più generale e distaccata. Io ci sto provando, ma il quotidiano anche per me è pesante, vivo un problema grosso e la mia famiglia è una famiglia normale come tutte le altre, non è che io abbia corsie privilegiate. Ci dividiamo io e mia moglie un onere molto difficoltoso, cercando di conciliarlo con il lavoro, con un altro figlio».
Un grande lavoro quello di Gianluca Nicoletti in questi anni, fatto di lotte, di campagne di divulgazione e sensibilizzazione sull’autismo, di promozione della cultura sul tema, di progetti e iniziative, che sta riscuotendo via via sempre maggiore attenzione e raggiungendo ampio pubblico, ben oltre le famiglie direttamente coinvolte e gli addetti ai lavori. Ma quante vittorie? Quante sconfitte?
«Guardandola dal punto di vista ottimistico del bicchiere mezzo pieno, mi riconoscono tutti che da almeno un paio di anni si parla di più e in maniera diversa di autismo – racconta Nicoletti –, prima non se ne parlava. Ricordo quando cominciai a scriverne, era un argomento sconosciuto ai più. Bene o male adesso l’attenzione sul tema è cresciuta, l’autismo è argomento di dibattito. Soprattutto, le famiglie hanno iniziato a uscire dai loro nascondigli, hanno preso coraggio a parlare. Prima avevano paura di dire “ho un figlio autistico”, e “il segreto” rimaneva sepolto in casa. Adesso il problema è diventato una cosa pubblica, la gente non si vergogna più. Prima parlavano solo le grandi associazioni. E parlavano a nome di tutti. Adesso piano piano si cominciano a vedere in faccia i ragazzi, le madri, i padri. Dal punto di vista del bicchiere mezzo vuoto invece, il fatto è che di cambiamenti concreti purtroppo ancora non ne vedo. Per esempio hanno fatto una legge, una bella legge, fatta di buoni intenti, ma sul lato pratico non sta cambiando niente. O anche, sta iniziando l’anno scolastico e sono stati dichiarati ottimi propositi con la legge “La Buona Scuola” che prevede insegnanti di sostegno specializzati per gli autistici, ma nella realtà cosa accadrà? Spero davvero cambi qualcosa, perché il problema quotidiano e concreto è che la maggior parte dei ragazzi autistici si ritrova senza sostegno, le scuole sono impreparate. E ogni volta si deve ricominciare da zero. Purtroppo è così».
E nella direzione di una buona cultura sull’autismo, Nicoletti parlerà a Màt 2015 anche di un paio di importanti progetti. Il sito PerNoiAutistici, il portale di riferimento, “il più grande aggregato di senso e di cultura sull’autismo in Italia” con una web radio associata: online soltanto da pochi giorni, è uno spazio di confronto, ricco di notizie e articoli di approfondimento sull’autismo. E il docufilm, dal titolo Tommy e gli altri che racconterà storie vere di famiglie con un figlio autistico, i loro problemi, il loro quotidiano. Un film in cui la soggettiva autistica farà la differenza: «Metterò una telecamerina GoPro in testa ai ragazzi – spiega Nicoletti – in modo tale che quando ci muoviamo, quando parliamo con le persone, le immagini possano raccontare il punto di vista dell’autistico. Andremo a visitare le famiglie che hanno perso speranza e fiducia, quelle che si sentono prese in giro e abbandonate dai professionisti dell’autismo convegnistico. Racconteremo soprattutto le storie che a nessuno va di raccontare».
Raccontare l’autismo. Spesso la poca grazia con cui i mass media trattano il tema dell’autismo e della salute mentale in generale, in termini di attenzione alle parole e al rispetto della sofferenza altrui, lascia un po’ perplessi. «Questo è un aspetto sul quale sono molto vigile e attento – sottolinea Nicoletti – e devo dire che l’attenzione è migliorata. Ho fatto battaglie, anche molto dure, proprio per il rispetto lessicale del termine “autistico”. La battaglia con Corradino Mineo, quella con Giuliano Ferrara, colleghi che per superficialità, ignoranza o gusto del cattivismo a tutti i costi, erano entrati in polemica con me perché rivendicavo il diritto di non usare il termine “autistico” come a dire “scemo”. Nessuno direbbe oggi “mongoloide” a una persona senza rischiare una denuncia, non capisco perché il termine “autistico” debba essere usato come niente fosse e in senso spregiativo».
E non poteva mancare la domanda provocatoria e manifesto di Màt “chi è per te il matto?”, alla quale Nicoletti ha risposto con la maestria di un comunicatore avvezzo a giocare con le parole e la sensibilità e l’ironia che lo contraddistinguono: «Io sono un matto tanto per cominciare, e ne sono orgoglioso e felice. Il matto è colui che ha una visione balsana della realtà rispetto alle tristissime omologate e piatte visioni del resto del mondo, riesce a vedere quello che altri non vedono. Il matto costruisce mondi fantasiosi, in una prospettiva profonda e ineffabile. Il matto è un essere umano in contatto con altre dimensioni della realtà che gli altri non vogliono vedere, da cui vogliono fuggire. Il matto è un isolato, è una persona che fa paura e per questo è destinato a essere una sorta di emarginato dalla realtà. Il matto è la carta numero zero dei tarocchi. Il matto cammina verso un precipizio felice e contento, mentre il resto del mondo sarebbe felice che lui precipitasse. Il matto è la prova tangibile e vivente che esiste un altro colpo d’occhio sulla realtà rispetto a tutto quello che rassicura il resto del mondo».
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Secondo Margaret Mead la civiltà non inizia con l’uso di strumenti avanzati, quelli che caratterizzano il progresso tecnologico, ma con un gesto di cooperazione e compassione. La storia che utilizzava per spiegare questo concetto è quella del femore rotto e guarito...