Per una salute mentale veramente di tutti
di Laura Solieri
“Rendere la salute mentale e il benessere di tutti una priorità globale” (Make Mental Health & Well-Being for All a Global Priority) è il tema della Giornata Mondiale della Salute Mentale 2022 (World Mental Health Day) che si celebra il 10 ottobre di ogni anno. Per l’occasione, riflettiamo su quel “di tutti” con Antonio Lasalvia, professore associato di Psichiatria all’Università di Verona che l’8 ottobre parteciperà al pre Màt all’incontro da remoto “Siamo fuori di testa ma…” (ore 10-13) promosso dal Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Ausl Modena e Arci Modena Comitato Provinciale come evento di anticipazione della Giornata Mondiale.
Lasalvia, nello specifico, si concentrerà sugli interventi per combattere lo stigma dei disturbi mentali partendo dal fatto che le persone con problemi di salute mentale sono spesso vittime di varie forme di discriminazione. Stigma, intolleranza alla diversità, ai bisogni e alle capacità differenti, contribuiscono a queste forme di discriminazione che innescano un circolo vizioso di esclusione e coercizione. Il concetto di stigma, in particolare, è un concetto ombrello da cui si diramano i concetti di stereotipo, pregiudizio, discriminazione e le componenti cognitive, affettive e comportamentali che da essi derivano.
«In tutto il mondo si stima che siano 970 milioni le persone con problemi di salute mentale: in Europa meno della metà, in altri parti del mondo appena un quarto/un terzo di esse riceve assistenza e questo è un grosso problema – spiega Lasalvia – Tra le cause abbiamo la mancanza di professionisti adeguatamente formati, mancanza di servizi, di risorse umane ed economiche ma una delle barriere principali rimane lo stigma, la vergogna di chi ha un problema a chiedere aiuto. Pensiamo che, per quanto riguarda ad esempio la depressione, nel mondo occidentale meno del 50% della popolazione riceve l’aiuto di cui potrebbe beneficiare».
Succede che, anche i servizi, che dovrebbero essere fornitori di aiuto, alimentino talvolta contesti in cui lo stigma viene ulteriormente perpetuato. «Ci può essere un problema di formazione e sensibilità – spiega il professore – Fatto sta che molti utenti si sentono trattati in modo infantilizzante, iperprotettivo, poco incentivante dal punto di vista dello sviluppo delle autonomie e della crescita personale. A questo proposito, a Verona, stiamo validando un questionario sviluppato insieme a un’associazione di utenti che ha proprio l’obiettivo di valutare lo stigma percepito all’interno dei servizi psichiatrici».
Ecco allora che per combattere lo stigma e suscitare consapevolezza, iniziative di attivazione comunitaria come Màt sono fondamentali, soprattutto se oltre ad essere promosse a livello istituzionale, hanno base logistica, di proposizione e promozione sul territorio da parte delle associazioni di familiari, utenti, cittadini. «I tecnici e gli operatori dei servizi non devono avere la leadership di queste iniziative ma essere dei facilitatori, lasciando spazio alla propulsione dal basso, ai destinatari dei servizi, tarando le iniziative in relazione a quello che è lo specifico della comunità locale a cui si rivolgono» precisa Lasalvia, che nel volume “Lo stigma dei disturbi mentali. Guida agli interventi basati sulle evidenze” (Giovanni Fioriti Editore) rappresenta la lotta allo stigma per quello che in realtà è – e che dovrebbe essere – così come d’altro canto la letteratura scientifica indica da oltre un ventennio: un ambito tematico, cioè, in cui le evidenze possono e debbono orientare l’azione. Con l’obiettivo di sottrarre questa fondamentale area all’incerto e pericoloso ambito ideologico per trasferirlo, a superiore beneficio dei pazienti e delle loro famiglie, nel campo della scienza.
«La Settimana della Salute mentale modenese dovrebbe essere, a mio avviso, posta come modello nazionale perché è sostenuta da tanti soggetti diversi e non è un’iniziativa occasionale ma frutto di una progettualità lunga e strutturata che si colloca dentro un ragionamento di psichiatria e salute mentale di comunità – afferma il professore – Nel resto dell’Italia la situazione è tutt’altro che incoraggiante: sono state realizzate nel corso del tempo numerose iniziative a livello locale (soprattutto in occasione del 10 ottobre), che hanno avuto tuttavia il carattere dell’estemporaneità, mancando di una programmazione a lungo termine e di un approccio sistemico. E non desta meraviglia che l’impatto effettivo di tali iniziative sia stato quanto meno discutibile». In Europa e nel mondo, invece, la situazione è diversa, con esperienze di coinvolgimento sostenuto nel tempo da parte di associazioni che hanno messo in piedi campagne stabili, come per esempio accade in Nuova Zelanda (attraverso il programma “Like Minds, Like Mine”) e in Australia (attraverso il programma “SANE”) con progettualità che vanno avanti da oltre 20 anni.
In Gran Bretagna la campagna “Time to change” è andata avanti per oltre 15 anni e anche in Scozia, da 20 anni, è attiva la campagna “See me”.
«Riuscire a tenere attivo il ragionamento sulle problematiche legate alla salute mentale per tutto il corso dell’anno, impattando anche sulla popolazione giovane, è una grande sforzo – sottolinea Lasalvia – Al di là di usare al massimo i mezzi di comunicazione disponibili, a partire dai social, per arrivare a tutti, affidare la narrazione a chi “ci è passato in mezzo” è sicuramente ciò che impatta maggiormente».
A livello mediatico, con riferimento non solo ai notiziari ma anche al cinema, alle fiction, ecc., le occasioni in cui si può parlare di salute mentale non sono molte e spesso non vengono colte nel migliore dei modi: «Chi scrive, sceneggia o in generale decide di affrontare il tema – conclude Lasalvia – potrebbe farlo scegliendo di appoggiarsi a qualcuno che conosce l’argomento, che siano familiari, operatori, tecnici, che potrebbero dare una mano per parlarne in termini meno sciatti, superficiali, stereotipati, anche dal punto di vista delle immagini, spesso portate a un’eclatanza e a un’esagerazione parodistica e distorta».