di Laura Solieri
Giovani preoccupati del mondo che li circonda, che dubitano delle proprie capacità, che la pandemia ha costretto all’isolamento sociale. Sogni, entusiasmo, vitalità si riducono fino quasi a sparire. Al loro posto la paura di essere, di vivere in un mondo che li giudica senza riconoscerli, che avanza richieste ma si dimostra incapace di offrire prospettive adeguate. Dopo diversi anni di lavoro, professionisti, operatori e utenti si confrontano sull’implementazione in Italia dell’intervento con metodologia IPS (Individual Placement and Support) sui giovani,come modalità per “occuparsi” di loro piuttosto che “preoccuparsene”. L’obiettivo è promuovere la metodologia IPS sia nei confronti degli addetti ai lavori sia della cittadinanza, migliorando le competenze degli operatori rispetto all’applicazione della metodologia sull’utenza giovane. Di questo se ne parlerà il 24 ottobre ore 14.30 a Màt all’interno del convegno “Pensare al lavoro al tempo dell’adolescenza – l’IPS: storie di possibilità e trasformazione” a cura del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche di Modena presso Lo Spazio Nuovo (viale IV Novembre 40/B, Modena).
«La metodologia IPS è un modello creato e sviluppato negli Stati Uniti all’inizio degli anni Novanta, alternativo alle classiche forme di intervento riabilitativo per il reinserimento lavorativo delle persone con problemi di salute mentale – spiega la dottoressa Donatella Marrama, psichiatra, Direttore Salute Mentale Adulti Modena Centro – Con l’IPS viene a capovolgersi la pratica di lunghe preparazioni pre-lavorative, caratterizzate da inserimenti lavorativi protetti, da forme di “allenamento” per sviluppare competenze lavorative (metodologia del “Train and place”) attraverso setting via via più simili al vero e proprio lavoro. Si tratta, invece, di una forma di supporto che parte subito con la ricerca della collocazione nel “vero” mondo lavorativo (modello del “Place and train”) grazie all’intervento di uno specialista IPS (Job Coach) che fornisce forme di sostegno e tutoraggio individualizzate con una relazione basata su una forte collaborazione e sulle preferenze delle persone, indipendentemente dalle condizioni di disabilità».
Questa pratica si basa ormai su evidenze scientifiche che hanno dimostrato che l’IPS è 2-3 volte più efficace degli approcci tradizionali; una delle tesi di questa pratica è, che, lavorare fianco a fianco alle persone senza disabilità psichiatriche, aiuti a recuperare stima in sé stessi e a ridurre lo stigma e la discriminazione.
E’ un approccio ormai noto e diffuso in diverse parti di Italia e, in particolare, nella nostra Regione, che mantiene una collaborazione scientifica con il Centro universitario americano, e dopo una prima fase progettuale, dal 2014 lo ha esteso a tutti i Dipartimenti di Salute Mentale.
«Nella nostra realtà modenese l’intervento IPS è stato rivolto sia all’utenza dei Centri di Salute Mentale sia ai Servizi per le Dipendenze con risultati tanto buoni da decidere di incrementarne l’utilizzo – dice Marrama – L’esperienza statunitense ha anche sviluppato programmi IPS nei confronti dei giovani adolescenti con problematiche che vanno da forme iniziali di psicosi, all’autismo e a forme di disagio emozionale all’interno della fase di transizione all’età adulta».
L’idea del convegno è nata proprio dalle prime esperienze in questo campo nella nostra Regione. Il Gruppo di Coordinamento tecnico scientifico regionale che si occupa di IPS, infatti, si riunisce e si confronta con regolarità rispetto alle specifiche e differenti esperienze con contributi che favoriscono anche la diffusione delle nuove pratiche.
L’Italia, nel 2020, era il paese europeo con il maggior numero di ragazzi tra i 15 e i 25 anni “Not in Education, Employment, or Training” (NEET), cioè non occupati e non inseriti in un programma di istruzione o formazione; nel nostro Paese, il numero di NEET nella classe di età 15-34 anni, tra il 2007 e il 2014, è aumentato fino a raggiungere il primo posto nella classifica Eurostat nel 2020 con3.085.000 unità; come riportano i dati ufficiali, il 25,1% dei giovani italiani tra i 15 e i 34 anni non lavora, né studia, né è coinvolto in un percorso formativo.
«Sicuramente, in questa fase in cui il mondo dell’adolescenza sta vivendo un’esperienza di così grande criticità, le esperienze in questo campo, di realtà come quella di Ravenna e Bologna che saranno presentate nel convegno del 24 ottobre, sono da riprendere e imitare – conclude Marrama – E sono proprio le storie dei ragazzi dai 14 ai 26 anni ai quali è stato rivolta l’attività IPS Giovani che sentiremo raccontare da chi li ha aiutati a rientrare nel mondo della scuola o del lavoro. Ragazzi che ancor più degli adulti hanno sofferto l’esperienza dell’isolamento e del lockdown. La chiusura delle scuole, infatti, e di molte attività sportive e ricreative, che hanno limitato la capacità dei giovani di apprendere e interagire con i loro coetanei, associate con l’aumento del rischio di disoccupazione, l’incertezza rispetto al futuro, le situazioni di stress familiare, hanno fatto sì che i giovani siano stati tra i più pesantemente colpiti sia dai disturbi depressivi maggiori associati a comportamenti autolesivi sia dai disturbi d’ansia. Mai, come in questo periodo, i Servizi Sanitari dedicati all’urgenza hanno visto tanti giovani bisognosi di aiuto psicologico con estrema difficoltà a rientrare nei contesti scolastici e ad uscire da situazioni di isolamento».