Introduzione alla XIV Edizione della Settimana della Salute Mentale

Scritto da admin

Il 11 Ottobre 2024

Secondo Margaret Mead la civiltà non inizia con l’uso di strumenti avanzati, quelli che caratterizzano il progresso tecnologico, ma con un gesto di cooperazione e compassione. La storia che utilizzava per spiegare questo concetto è quella del femore rotto e guarito trovato in un sito archeologico. Una persona con femore rotto era destinata a morire rapidamente perché non poteva più cercare cibo, difendersi dai predatori o muoversi per sopravvivere. Il ritrovamento di un femore guarito implica che qualcun altro si era preso cura del ferito, offrendogli protezione, cibo e assistenza finché non fosse stato in grado di camminare di nuovo. Il femore guarito è quindi una testimonianza dell’umanità che si evolve non solo a livello tecnico o sociale, ma anche a livello emotivo ed etico, sviluppando un senso di responsabilità verso gli altri membri della comunità. Per l’antropologa statunitense, questo atto di assistenza è il principio fondante di quella che chiamiamo civiltà. La metafora del femore guarito ci aiuta ad introdurre il tema della XIV edizione di Màt – Settimana della Salute Mentale di Modena, che sta tutto in due parole: “prendersi cura” declinate in molteplici forme e destinatari.

“Prendersi cura” infatti non riguarda esclusivamente il supporto professionale, ma si estende al riconoscimento del valore della rete sociale, delle relazioni e del sostegno reciproco. La cura della salute mentale va ben oltre il singolo, abbracciando il contesto familiare e sociale, promuovendo l’inclusione e il benessere collettivo. La comunità è il tessuto che ci unisce, ci sostiene e ci dà un senso di appartenenza. Eppure, spesso dimentichiamo che la comunità non è solo un insieme di individui, ma un sistema complesso di relazioni, legami e criticità. In una società sempre più individualizzata e frammentata, è facile sottovalutare l’importanza della comunità nella nostra vita. Eppure, la comunità è il luogo dove troviamo sostegno, accettazione e comprensione, dove possiamo condividere le nostre esperienze, le nostre emozioni, le nostre difficoltà. “Prendersi cura” della comunità significa riconoscere i legami, le relazioni che ci uniscono, le criticità che ci sfidano, le risorse che ci sostengono. Significa creare spazi di dialogo, come quelli offerti dagli eventi della Settimana della Salute Mentale: dal ruolo degli Esperti in Supporto tra Pari alle vite perdute nei Manicomi Invisibili, dagli sportelli di ascolto mutualistico alla crisi del ruolo genitoriale, dall’accoglienza ai minori migranti ai percorsi dei pazienti autori di reato. Màt anche quest’anno invita la comunità a confrontarsi con le proprie vulnerabilità, stimolando una riflessione profonda sulle barriere – visibili e invisibili – che ancora persistono nel contesto della salute mentale. Creando connessioni, rafforzando le reti di supporto, costruendo nuove reti solidali per combattere solitudine e isolamento, nella convinzione che solo una comunità consapevole, accogliente e inclusiva è in grado di “prendersi cura” dei propri membri più fragili, trasformando la salute mentale in un tema di responsabilità condivisa, di opportunità di crescita collettiva e di coesione.

L’invito a “prendersi cura” vede come destinatari anche chi lavora ogni giorno nel campo della salute mentale. Nella sanità odierna, sempre più veloce e complessa, la produttività, la performance e le aspettative esterne divengono spesso prioritarie rispetto ai princìpi che hanno guidato le scelte dei professionisti. Così medici e psicologi, infermieri e assistenti sociali, operatori del privato sociale e tutti coloro che dedicano la vita ad aiutare gli altri – stretti tra l’incudine di una sanità sempre più burocratizzata e il martello di bisogni crescenti – sono esposti a stress, esaurimento e burnout. Mai come in questi ultimi anni abbiamo assistito alla perdita di attrattività delle professioni d’aiuto nelle giovani generazioni, alla disaffezione verso il servizio pubblico, alle scelte privatistiche e a una conflittualità esasperata tra operatori e utenti. È questo quello che vogliamo? Assisteremo inermi alla dissipazione del capitale sociale e professionale che aveva fatto dell’Italia il Paese con il miglior servizio sanitario? Se così non è, occorre ricordare che non possiamo versare acqua da un contenitore vuoto. Rischiano di diventare contenitori vuoti i servizi pubblici, carenti di personale, e rischia di svuotarsi di entusiasmo e carica vitale anche chi continua per scelta o necessità a lavorarci. “Prendersi cura” di chi si prende cura significa prevedere condizioni di lavoro adeguate (luoghi decorosi e accessibili, tempi di comunicazione non frettolosi, sostegno all’aggiornamento delle conoscenze e alle aspettative di sviluppo professionale) e attenzione alla cura di sé e all’equilibrio tra lavoro e vita privata. Aspetti che non devono essere considerati un lusso ma condizione essenziale per mantenere l’energia, l’empatia e la motivazione a “prendersi cura”.

Fabrizio Starace – Direttore DSMDP, AUSL Modena

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