Nella cornice dell’Auditorium Bertoli di Sassuolo (MO), si è svolto, nella serata di ieri 25 ottobre 2017, un appassionante viaggio nella vita dell’illustre poeta Dino Carlo Giuseppe Campana, nato a Marradi, un piccolo paese tosco-romagnolo della provincia di Firenze, il 20 agosto 1885 e morto alla giovane età di 47 anni a Scandicci, il 1°marzo 1932. L’evento, scandito dalla voce recitante di Faustino Stigliani, dalla voce narrante (e curatore dei brani) di Maurizio Casini, con l’intervento musicale di Claudio Ughetti alla fisarmonica, ha ripercorso le tappe essenziali di una vita di stenti interiori ed esteriori. Una vita, quella di Dino, segnata da profonde sofferenze esistenziali, legate indissolubilmente al suo genio creativo. Tra momenti di lucidità ed eccessi di furore che toccano le sue relazioni famigliari e amorose (vive una tormentata relazione con la scrittrice Sibilla Aleramo), Campana conduce una vita vagabonda da outsider, tra viaggi intrapresi in estrema povertà, i mestieri più diversi praticati, i numerosi arresti ed i frequenti ricoveri in manicomio. Eppure, nei più profondi meandri di un animo in preda, da un lato a visioni oniriche della realtà e dall’altro ad accesi attimi di limpida chiarezza (orfismo), c’è sempre stata la voglia di esistere, il suo riscatto personale nei confronti di tutto e tutti: le sue emozioni. E così, tra poesie, prose, lettere, commenti e appunti, Dino urla al mondo i suoi “Canti Orfici”. Un libretto che il poeta volle fortemente far stampare, e lo fece a sue spese con non poche peripezie (fu smarrito e lo riscrisse interamente a memoria), nel 1914 presso una stamperia di Marradi. I “Canti Orfici” sono una raccolta di ventidue componimenti in cui si alternano prosa e poesia. In essi troviamo una concezione della poesia come parola rivelatrice, mistica e segreta; l’aspirazione ad una poesia totale ed assoluta che sappia trasfigurare e ricreare la realtà esterna che descrive. Nel testo infatti domina un’atmosfera onirica in cui nulla è presentato ricorrendo ad un piano di realtà ed esistenza ordinaria. Il repertorio di situazioni ed immagini della poesia di Campana è costituito dalla chimera, dall’androgino, dalle prostitute, dalle atmosfere urbane degradate e allucinate e la compresenza di angelico e demoniaco. Ciò che ha colpito, chi qui scrive, e, suppongo, i presenti all’evento, è la grande potenza stilistica e formale della tecnica poetica di Campana: un uso ossessivo della ripetizione di certe parole (come il vento, il mare, le vele…), il cromatismo insistito (la visione di colori astratti), l’uso di simboli e metafore (la notte, il viaggio), la duplice visione del ruolo della donna, portatrice di piacere e insieme di dolore. In realtà, scopriamo che in tutta l’avventura “orfica” del poeta esiste una paradossale compresenza di gioia e tragedia e che è la poesia stessa un tema importante dei “Canti Orfici”, a cui il poeta affida, attraverso la figura di Orfeo, il compito di farsi strumento di interpretazione della realtà e, al tempo stesso, narrazione della storia personale del poeta. Dino Campana ed il suo lavoro rientrano nello stereotipo più diffuso del poeta “maledetto” e “pazzo”, che lega la produzione poetica dell’autore alla sua vita sregolata, ma chi qui scrive, percepisce il sussurro insieme all’urlo di quell’uomo, che è prima di tutto un uomo, che vuole, vuole e ancora vuole, avendone il pieno diritto, sentire in se quella fantastica “Emozione di Esistere”…. e aggiungo Io, “di Vivere pienamente”.
“Scrivo novelle poetiche e poesie, nessuno mi vuole stampare. Io ho bisogno di essere stampato, per provarvi che esisto, per scrivere ancora, ho bisogno di essere stampato. Aggiungo che Io merito di essere stampato e Io sento che quel poco di poesia che so fare ha una purità di accenti ch’è oggi poco comune da noi. Non sono ambizioso, ma penso che dopo essere stato sbattuto per il mondo, dopo essermi fatto lacerare dalla vita, la mia parola che nonostante sale, ha il diritto di essere ascoltata…” Dino Campana.
Foto e Articolo di Marcella Spaggiari