Quanto sarebbe bello poter contattare un Centro di Salute Mentale e sentirsi rispondere “Buongiorno ha chiamato nel posto giusto, come possiamo essere utile?”
Il metodo del Dialogo Aperto arriva da lontano, precisamente da Tornio, una città finlandese situata nella regione della Lapponia. Visto che la pratica è qui in uso da 20 anni e migliaia sono stati gli incontri fatti, nessuno si meraviglia più nell’essere invitato ad un incontro di Dialogo Aperto. Ma come trasporre un modello di comportamento in un contesto differente da quello in cui è nato?
“Dalla prima volta in cui abbiamo sentito parlare di Dialogo Aperto, la cosa ci ha molto interessato” afferma Maria Gertrude D’Aloya, familiare ” Se un metodo si chiama così, vuol dire che c’è la consapevolezza che prima il dialogo fosse chiuso ,servono servizi che ci conducano e accompagnino in questo percorso di sofferenza. Tramite questo approccio, finalmente sentiamo che adesso al centro ci sono il paziente e la sua famiglia”.
Non a caso il senso di questa modalità è sottolineare la dimensione dell’ascolto dell’altro e di noi stessi, un uscire dal monologo per entrare finalmente in un dialogo.
Quale sfida sarà per gli operatori della Salute Mentale? Il dottor Giuseppe Tibaldi ci porta la storia di Virginia, insegnante di 41 anni di Torino ricoverata in SPDC per un esordio psicotico in fase acuta, ” Se il Dialogo Aperto viene applicato con gli esordi psicotici, l’intervento avviene nell’arco delle prime 24 ore, possiamo ridurre al minimo il rischio di una seconda crisi” dice Tibaldi.”
Gli incontri si sono svolti tutti a casa di Virginia, al cospetto di familiari e compagni (e gatto!) e spesso ci siamo fermati a ragionare su problemi di tipo logistico che avevano ben poco a che fare con il percorso terapeutico”, aggiunge Tibaldi, “questi incontri non vengono mai affrontati, come singoli professionisti, ma in un team di 2 o 3 operatori in modo da garantire una continuità al paziente”. “Assieme a i famigliari si è lavorato alla co-costruzione dei significati, perchè anche la crisi ha un valore da comprendere e non da sopprimere”.
Quali sono i metodi dialogici da mettere dunque in campo? “L’aiuto deve essere immediato”, ricorda Fausto Mazzi, psichiatria modenese, “ed altro passaggio fondamentale è quello di recuperare la rete sociale (relazioni, famigliari, amicizie e quello lavorativo).” Bisogna bypassare le infinite liste di attesa per andare incontro al Dialogo Aperto e abbandonare atteggiamenti paternalistici per uscire dal proprio ruolo” (in Inghilterra dove si sta lavorando con il Dialogo aperto gli operatori stanno parallelamente frequentando un corso di Mindfulness per gestire al meglio le proprie emozioni). “Si deve inoltre tener conto di dover ascoltare tutte le voci all’interno del gruppo”, aggiunge il Dottor Mazzi,” la creatività del gruppo ha molte più possibilità di successo rispetto ad un intervento standard”.
Attualmente è in atto una sperimentazione d’intervento con questo metodo a Modena sul territorio di Pavullo e si sta pensando di unire tutte le esperienze che applicano questa metodologia sul territorio Italiano in una fondazione per proseguire con la ricerca.