di Laura Solieri
Siamo convinti che sia utile per una persona con un disagio sfilare per le strade di Modena? E che gli altri poi non si vergognino a partecipare a una parata del genere?
“Questi dubbi ci hanno accompagnato per alcuni mesi, dentro e fuori le nostre riunioni per organizzare il Màt Pride e piano piano ci siamo cresciuti dentro – raccontano gli organizzatori della manifestazione – Le persone hanno iniziato a ribadire sempre di più che è un diritto uscire nel mondo, è un diritto poter essere diversi e che una manifestazione per l’inclusione avrebbe raccolto tante persone escluse per motivi diversi ed eccoci alla seconda edizione del Màt Pride!”.
C’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza, c’è solo la voglia e il bisogno di uscire, di esporsi nella strada e nella piazza. Perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo, bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo… cantava Gaber.
Trovare un linguaggio nuovo, poetico, che apra nuovi orizzonti perché per fare i veri cambiamenti bisogna cambiare anche il linguaggio.
Ed è una lingua gialla, festosa ed emozionante quella che si parla in centro a Modena durante il Màt Pride che dopo il successo della sua prima edizione, torna sabato 21 ottobre 2017 (raduno ore 15.30, Largo San Giorgio tra via Farini e Piazza Roma per marciare fino alla Tenda, accompagnati da Banda Cittadina e Mattabanda per finire con la Banda Rulli Frulli, e dalle 14.00 ci sarà un laboratorio ricreativo per bambini con palloncini, trucchi e costruzione di percussioni con materiali di recupero) ad aprire la Settimana della Salute Mentale in città, facendo scintillare la via Emilia con musica e colori.
“Il Màt Pride è un atto di poesia civile – dice con un sorriso Lucia Fornieri dell’associazione Idee in circolo, una delle anime, insieme a Tilde Arcaleni di Insieme a Noi, Paola Relandini che purtroppo oggi non c’è più e a tanti altri, di questa manifestazione – Chi ha guardato il vuoto, l’angoscia, il senso di impotenza può ritenersi orgoglioso di non essere stato sopraffatto e se può ancora raccontare il suo viaggio agli inferi agli altri, ha una funzione sociale di cui andare fiero.
Una manifestazione come questa vuole ricordare a tutti di sentirsi orgogliosi dell’attraversamento di una condizione che fa molta paura all’intera società e porta ai confini dell’umano: è qualcosa che ti può bruciare come aprirti delle porte su altre dimensioni che non immaginavi”.
A Lucia piace chiamarle “sensibillime” le persone che hanno attraversato o stanno attraversando questa condizione: “Riconoscersi fragili ti dà una possibilità in più e per riconoscerti tale devi partire dall’umiltà, dall’essere vicino alla terra, dall’essere fallimentare. Solo così puoi aprirti e capire cosa non è andato… Accettare la propria condizione è ritrovare una grande libertà, fuori dal senso di colpa, inadeguatezza e diversità.
Questa manifestazione è nata come una provocazione, non vuole essere un’iniziativa “per rendersi accettabili”. Io sono orgogliosa perché ho ripreso il mio tempo, la mia dignità e quello che proponiamo – dice Lucia – è un semplice invito alla città, a chiunque voglia unirsi, per condividere un momento. Va anche detto che, nonostante ci lamentiamo spesso dello stigma inferto dall’esterno, molti di noi ancora si vergognano o non se la sentono di partecipare a questa iniziativa…
Non è stato facile organizzare il Màt Pride, poche persone all’inizio erano d’accordo a farlo – le fa eco Tilde – C’è ancora molto senso del pudore e le esitazioni non sono mancate e non mancano. Ma ad accoglierci, abbiamo trovato una città assai meno legata al pregiudizio di quello che immaginavamo e tanti giovani che si sono avvicinati e poi sono venuti a fare volontariato da noi. Non è mai troppo quello che si fa per vincere le diffidenze e crediamo fortemente nel ruolo sociale di questa manifestazione”.
Marciare contro il pregiudizio significa anche marciare contro la tendenza a chiuderci nelle nostre torri d’avorio, a chiudere i confini, le orecchie, gli occhi rispetto alle cose che ci circondano.
Questa è una marcia per tenere, tutti quanti, gli occhi ben aperti sull’importanza di fare le cose assieme. Ragazzi con autismo, ospiti del centro di accoglienza Porta Aperta, persone con disturbi psichiatrici, medici, familiari, infermieri, le autorità cittadine e la comunità tutta, insieme per partecipare alla gioia e al colore che si mettono in movimento e producono musica durante il Màt Pride.
Uno dei segreti del successo delle iniziative di Màt è offrire un tempo e uno spazio per consentire a tutti di soffermarsi su cose che se anche estreme come la malattia mentale grave, mettono comunque in risonanza qualcosa dentro di noi. Perché il fatto che il disagio psichico stia aumentando, ci interroga in maniera molto precisa su che tipo di vita ci siamo organizzati. E ci invita a riflettere.
La fotografia pubblicata è di Maurizio Bergianti