di Laura Solieri
L’esperienza italiana è stata pionieristica sia nella chiusura dei manicomi che nell’inserimento dei bambini e ragazzi con disabilità nelle classi comuni delle scuole.
Pensiamo che, ancora oggi, l’inserimento di alunni disabili in classi comuni è un fenomeno squisitamente italiano: nella maggioranza degli altri paesi europei, infatti, i bambini e ragazzi con disabilità sono inseriti in classi speciali, a parte, mentre in Italia solamente lo 0,8% dei minori con disabilità non è inserito nelle classi comuni.
«Sul territorio modenese, sono 11mila i minori in carico al Servizio di Neuropsichiatria Infantile, dato tra i più alti in Italia e anche in Europa, se si considera che a livello nazionale i servizi di Neuropsichiatria Infantile utilizzati con maggior frequenza sono appunto quelli nel Modenese» spiega il professor Paolo Stagi, neuropsichiatra infantile e direttore del Settore di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ausl di Modena, che il 26 ottobre 2018 interverrà tra gli altri al convegno “Neuropsichiatria e Scuola in una società che cambia” (ore 9-18 presso Istituto di Istruzione Superiore “F. Selmi”, Via Leonardo Da Vinci 300, Modena, evento a cura del settore di NPIA in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale e Provinciale).
Durante la giornata del 26 ottobre, un’attenzione particolare sarà dedicata alla ricostruzione storica degli eventi che, negli anni Settanta, hanno condotto alla chiusura degli istituti per disabili e degli ospedali psichiatrici (in cui erano ospitati anche minori), all’attuazione della legge 517/77 e della legge 104/92 dedicate alla integrazione scolastica dei bambini e degli adolescenti.
«Alla fine degli anni Settanta, ancora sull’onda del Sessantotto, regnava un clima culturale fatto di grandi ideali, grandi fermenti e animato da una certa attenzione ai temi della disabilità, magari vissuti in modo un po’ ideologico ma con notevole sensibilità, la stessa che ha portato alla grande riforma psichiatrica – spiega Stagi – Di recente, si sono aperti altri tipi di sfida, anche a causa dell’aumento di alcune tipologie di disturbo prima fra tutte l’autismo e il modello passato, per come è stato concepito, richiede dei correttivi. Alla fine degli anni Settanta e Ottanta, inoltre, c’è stato il grande tema delle dipendenze patologiche, delle tossicodipendenze, tutte tematiche che hanno in parte allontanato l’attenzione dai temi strettamente legati alla disabilità.
Oggi siamo difronte a una società diventata nel giro di pochi decenni multietnica, con i vari problemi di lingua e di rapporto con culture diverse ad essa connessi, da cui non possiamo prescindere.
Credo che vadano riaffrontate queste tematiche alla luce di questi cambiamenti della società e di risorse sempre più strette, che mettono in difficoltà non solo noi della sanità ma anche i colleghi della scuola e dei servizi sociali».
Sul nostro territorio, nella scuola, abbiamo più di 4mila alunni con disabilità accertata che corrispondono al 3,2% della popolazione minorile residente nella provincia di Modena e al 36,7% (quindi più di un terzo) dei minori in carico alla Neuropsichiatria Infantile (come indicano i dati più recenti a disposizione, riferiti al 2017).
«L’utenza in carico alla Neuropsichiatria Infantile di Modena è quasi raddoppiata in dieci anni – dice Stagi evidenziando la rete di collaborazione molto solida tra sanità, servizi sociali e mondo della scuola – La rete che si è creata consente di mappare in modo accurato tutto il territorio e intercettare abbastanza precocemente una serie di problemi che vanno dall’autismo ai disturbi di condotta molto evidenti a scuola, ai disturbi dell’attenzione e non solo. In questi anni, sono emersi temi nuovi su cui stiamo lavorando legati ad esempio all’uso degli strumenti digitali, le cosiddette nuove dipendenze da internet, il cyberbullismo…Tutti fenomeni nuovi che cambiano gli scenari passati.
Nelle scuole, l’inserimento degli alunni disabili comporta un grandissimo beneficio non solo per loro stessi ma anche per tutti gli altri – conclude Stagi – Questo è un modo per essere vicini a coloro che hanno difficoltà, alle loro famiglie, condividere le problematiche, cosa che a noi sembra anche da un punto di vista pedagogico di grandissima rilevanza e che avviene praticamente solo in Italia. Oggi, occorre riprendere lo spirito pionieristico degli anni Settanta con un modalità un po’ più scientifica, valutando le cose andate bene e quelle che vanno migliorate e richiamare l’attenzione della società civile su questi temi, fermo restando che sul nostro territorio l’attenzione è alta e la cittadinanza è sensibile».